La storia del mambo

Negli anni ’50 il corso della musica cubana, in particolare negli Stati Uniti, subì un grosso cambiamentoLogo mambo raggiungendo, all’inizio del decennio, il culmine di popolarità anche se a costo di una certa “diluizione”.

Tale evento è senza dubbio da attribuire al pianista, compositore e direttore d’orchestra cubano Dámaso Pérez Prado. Nato a Matanzas l’11 dicembre del 1916, aveva iniziato a suonare giovanissimo in complessi locali, particolarmente versati nell’esecuzione della musica tradizionale cubana (son, rumba, guaracha, ecc.).

Nel 1942, lavorava a La Habana con la famosa cantante Paulina Álvarez (1912-1965) mentre l’anno seguente entrava a far parte dell’orchestra Casino de la Playa e poi del complesso La Cubaney, formazioni per le quali, oltre che esibirsi come pianista, realizzava anche arrangiamenti musicali. Il suo desiderio era però quello di sbarazzarsi dei contenuti del danzón e del son, pilastri della musica tradizionale cubana, dirigendosi verso un nuovo stile musicale che, più tardi, sarebbe diventato il mambo. Le sue idee, però, non incontravano particolare seguito a Cuba per cui, su suggerimento del suo amico “KikoMendive (1919-2000), un cantante e ballerino cubano allora di successo in Messico, si recò nel 1944 e poi nel 1945 a Città del Messico, per alcune registrazioni discografiche e per cercare contatti utili alla realizzazione delle sue idee, per poi stabilirvisi definitivamente nel 1947.

Nel 1950, con musicisti cubani e messicani, Pérez Prado crea un’orchestra caratterizzata dalla presenza massiccia di fiati, che peraltro mancavano nella musica tradizionale del suo paese.

Nasce così il mambo con un suono assolutamente unico ed inconfondibile che, nel 1951, sfonda negli Stati Uniti con il brano “Mambo n.5” dando praticamente inizio all’epoca del mambo ed attribuendo al suo creatore l’etichetta di “rey del mambo”.

Nella sua nuova formazione musicale, Pérez Prado all’inizio diede spazio anche ad alcuni cantanti, tra i quali il portoricano Daniel Santos (1916 – 1992) e il cubano Beny Moré (1919 – 1963), ma ben presto ne fece a meno poiché nel suo progetto musicale non c’era posto per tali figure: l’impostazione della sua musica era essenzialmente strumentale, caratterizzata da un forte accento ritmico che privilegiava il ballo a scapito del canto.

Sulla scia del successo riscosso dal “Mambo n. 5”, Pérez Prado compone ben presto altri brani tra i quali sono da menzionare “Que rico el mambo” (conosciuto anche come “Mambo Jambo”) seguito da altri pezzi famosi, quali “Pianolo”, “Mambo en sax”, “Lupita” e “Mambo n.8”.

La sua composizione più conosciuta in Italia è, forse, “Patricia” che Fellini (1920 – 1993) introdusse nella colonna sonora del film “La dolce Vita”, anche se questo brano rappresenta uno stile abbastanza “annacquato” rispetto ai brani tradizionali sopra menzionati.

Nella maggior parte delle sue composizioni si nota una forte influenza jazzistica, principalmente alla maniera di Stan Kenton (1911 – 1979) e ciò a causa della sua permanenza per un certo tempo in orchestre di stampo nord-americano.

Il periodo di maggior successo del mambo, poi soppiantato come popolarità dal cha cha chá cubano nel 1955, può essere individuato nella prima metà degli anni ’50 allorchè Pérez Prado fu il primo musicista cubano a suscitare l’interesse di larghi strati della popolazione statunitense non latina.

Nel 1951, infatti, una sua tournèe nella West Coast (a Los Angeles e San Francisco) registrò un grosso successo di pubblico americano e non americano mentre nell’area di New York l’apparizione del mambo non fu accolta, all’inizio, con molto favore poiché il “peso” eccessivo degli ottoni e una forte semplificazione musicale si addiceva poco alla clientela del Waldorf Astoria abituata alla musica edulcorata di Xavier Cugat (1900 – 1990) né tantomeno al pubblico latino che apprezzava maggiormente il genere più sofisticato di Machito (1908 – 1984), José Curbelo (1917), Tito Puente (1920 – 2000) e Tito Rodriguez (1923 – 1973).

Tale situazione però cambiò rapidamente dato che dal 1952 il Palladium Dance Hall (situata a New York all’incrocio della 53° Street e Broadway) si dedicò esclusivamente al mambo registrando un successo senza precedenti tra il pubblico latino e non latino che gremiva la pista da ballo al suono delle orchestre del cubano Machito, del portoricano Tito Rodriguez e del newyorchese di origine portoricana Tito Puente.

Con il tramonto del mambo nel panorama musicale mondiale, Pérez Prado, al pari di altri grandi musicisti cubani, finì dimenticato e morì nella stessa Città del Messico che vide il suo trionfo nel mondo, malato e in miseria, il 15 settembre del 1989 all’età di 73 anni.

A seguito dell’esplosione del mambo negli Stati Uniti, anche l’Europa fu presto invasa da questo nuovo stile musicale, in particolare Parigi, da sempre il maggiore centro di diffusione e di valorizzazione della musica cubana avendo apprezzato il talento dei suoi musicisti fin dal XIX secolo. Nella capitale francese, infatti, le case discografiche furono subito all’avanguardia nella produzione e diffusione di LP dei primi mambi di Tito Puente e Tito Rodriguez oltre a quelli di altre orchestre cubane (Rudy Castell, Al Castellanos, Julio Cueva, Don Marino Barreto, ecc.).

Anche in Italia, il mambo si impone negli anni ’50 con le registrazioni delle prime orchestre che si specializzarono nell’esecuzione di ritmi latini, quali quelle di Bruno Quirinetta (1911 – 1961) e Franco e i G.5, del percussionista e cantante Franco Rosselli (1924).

Molte altre orchestre (Tullio Mobilia, Nino Impallomeni, Bruno Canfora, Angelini, Wolmer Beltrami ecc.) e cantanti (Alberto Rabagliati,  Nilla Pizzi, Gloria Christian, Carla Boni, Flo Sandon’s, ecc.) si cimentarono, con alterna fortuna, nell’esecuzione di mambi, allorché questi erano di moda negli anni ’50.

Occorre notare che la caratteristica comune a tutte le loro esibizioni dal vivo o nelle registrazioni discografiche dell’epoca era una notevole carenza disabor” latino rispetto a ciò che proponevano Pérez Prado o le altre orchestre sud-americane, una sezione ritmica notevolmente lontana dalla timbrica originale ed, infine, arrangiamenti abbastanza estranei a quelli cubani e, più in generale, a quelli latino-americani, sviluppando spesso situazioni che avevano, in verità, molto poco in comune con quelle delle orchestre latine sopra menzionate, ma che servirono però a creare nel pubblico italiano un certo interesse per la musica cubana e per quella latina in generale, trasformatosi poi nella richiesta di dischi di orchestre originali che, fortunatamente, apparvero sul mercato italiano per la gioia degli intenditori dell’epoca.

La prima volta che si ascoltarono brani originali di mambo, almeno al cinema, fu nel 1954 allorché nel film “Mambo”, diretto da Robert Rossen (1908 – 1966) con l’interpretazione di Silvana Mangano (1930 – 1989) insieme a Vittorio Gassman (1922 – 2000) e Shelley Winters (1922), si registrò la presenza della compagnia della famosa Katherine Dunham (1909 – 2006), affermata antropologa, etnologa, ballerina e coreografa americana.

Nel 1955, anche in Italia sfumò l’interesse del mambo per l’arrivo del cha cha chá cubano, un ritmo molto più semplice, per l’appassionato italiano, da seguire e da ballare.

Anche questa nuova moda musicale, però, non durò molto poiché agli inizi degli anni ’60 tutta la musica latina in generale si trovò nel tunnel della crisi per una serie di motivi il più importante dei quali può essere individuato nell’affermazione su scala mondiale di nuove mode e correnti musicali, come l’esplosione dei Beatles, gruppo inglese nato a Liverpool nel 1959.

Anche in Italia, già dalla fine degli anni ’50, si diffonderà la nuova tendenza musicale che fa riferimento al rock and roll americano, ed inizia l’epoca dei cosidetti “urlatori”, che immettono nelle loro canzoni elementi tipici di questo genere musicale. Personaggi emergenti come Tony Dallara, Joe Sentieri, Adriano Celentano e Mina furono portatori di uno stile nuovo, che rompeva fragorosamente con il passato, dando in questo modo una brusca frenata alla moda in Italia dello stile “latino”, ormai questo sicuramente in antitesi con quel che di nuovo si stava affermando.

Adriano Franceschetti